“Sei
comoda?”
“Sì papà”
“Ci vedi?”
“No, papà”
“Ti prendo il rialzino”
Lo schermo è enorme in questo cinema. La sala non è nuova ma
hanno investito in tecnologia.
Smanetto
sul cellulare. La grande è a casa. Sta dormendo, ha la febbre. Voleva venire
anche lei a vedere “Oceania” ma è crollata, senza nemmeno protestare.
‘Che
scelta scellerata’, penso. Moana è un nome bellissimo, morbido, fluisce come
l’acqua del mare. Nessun bambino avrebbe avuto alcun retropensiero e nessun
genitore avrebbe pensato di trovarsi di fronte a un porno vintage. “Vaiana”:
questo nome non mi piace.
“Buon
film tesoro”
“Buon
film papà”
Coloratissimo.
E’ un film coloratissimo. Il mare sembra vero. La sabbia pure. I cieli stellati
stupendi.
“Ti
piace, amore?”
“E’
bello ma… mi fa paura, quando andiamo in pizzeria?”
“Goditi
il film, piccola, poi ci pensiamo alla pizzeria”.
Non ce
ne capisco niente di cinema d’animazione ma ho visto “La città incantata” di
Miyazaki, l'altr'anno, e in alcune parti il romanticismo disneyano mi pare
surreale, bizzarro, dai toni nipponici.
E’ un film complesso. Non è facile. Pesca negli archetipi,
nell’animismo, in una religiosità naturalistica. Non sbancherà al botteghino.
Le musiche sono fantastiche, Gualazzi è superbo nel dare voce
a un comicissimo e pazzo granchio gigante. La voce della cantante non la
conosco, sembra quella di… come si chiama, la ricciolina che ha vinto Xfactor,
no non è lei, su google mi si dice che è tale Chiara Grispo, uscita da un altro
talent. Bella voce, fresca.
“Mi è finito il popcorn, papi”.
“Bevi un po’. Il film sta per finire.”
Piango. Una lacrima a sinistra, una a destra. Due gocce mi
solcano le guance. Non è la scena dell’incontro tra l’eroina adolescente e sua
nonna morta, che mi ricorda tantissimo la scena sognante del Re Leone, a farmi
commuovere, ma il saluto tra la ragazza e il suo amico semidio. Un’amicizia
bizzosa, rissosa, al confine della sfiducia. Alla fine, l’abbraccio vince. Si
dicono addio. E’ lì che il cartone Disney mi smuove qualcosa dentro. E ci casco
anche stavolta.
Il senso del film poggia sul potere della natura, sulla forza
ancestrale del passato che ci coinvolge e ci travolge e su ciò che abbiamo
perso, distratti da altro o paurosi del rischio. Si è riso pochissimo in sala.
Soprattutto all’inizio. Poi diventa un’opera di formazione e il registro più
sentimentale abbisogna di silenzio e di riflessione. Non c’è nessuna storia
d’amore, nessun matrimonio. C’è una separazione. Che è indispensabile alla
crescita dell’eroe.
Credo
che Oceania possa piacere di più ai ragazzini e alle ragazzine dai dieci anni
in su. Quelli sensibili, però.
“Ti è
piaciuto, amore?”
“Sì
papà ma mi ha fatto un po’ paura! Il mostro aveva gli occhi rossi! Pieni di
lava! Perché?”.
“Perché
era arrabbiato, ma poi è diventato buonissimo”.
Le
faccio la solita domanda: “Qual è stata la scena che ti è piaciuta di più”?
“Quando
Vaiana era piccolina e giocava con la nonna”.
Ecco.
Come immaginavo. Il resto, così metaforico, coi suoi riti di passaggio, col
gioco tra dipendenza e indipendenza, tra paura e rischio, non l’ha colto
pienamente.
“E la
tua scena preferita, papà?”
“Quando
il mostro si trasforma in Madre Terra, e si riaddormenta tranquilla”
Penso
ancora, però, all’amicizia speciale tra Moana, voglio chiamarla così, e l’amico
semidio di cui non ricordo il nome, e rifletto sul fatto che le relazioni vanno
costruite, la fiducia va irrobustita, si cresce sommando fiducie e sottraendo
delusioni. Più dai fiducia agli altri, meno le delusioni che costelleranno la
tua vita saranno pesanti.
La
piccola mi stringe la mano e ci incamminiamo verso la macchina. Sbrino il
parabrezza.
“Papà,
tu guidi bene”.
Non
guido bene. Guido normale.
“Perché
me lo dici?”.
Non mi
risponde. Sento il leggero russare da dietro al sedile. Spengo l’autoradio e
quello mi sembra il suono più meraviglioso del mondo.
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