26/01/17

Dalida

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Dopo il terzo Frozen di seguito, che sto cominciando a odiare Elsa, Anna e pure la renna Sven, la piccola si è addormentata. "Papà, tanca". Le ho rimboccato il plaid. Tossisce meno. Il bombardamento d'antibiotici sta facendo effetto. Mi faccio un caffè e accendo un po' di musica.
Ho scaricato dei dischi vecchi, che mia moglie mi ha detto che sono assolutamente antico; sono quelli che ascoltavo dalla nonna, a Palermo, in un giradischi degli anni sessanta, nel salotto buono, quello col balcone dove c'erano il gelsomino e la pomelia. 


M'incanto a sentire Bang Bang di Dalida. 

E mi viene da ridere, da piangere e da scrivere, dopo che la bronchite della piccola, la preparazione del seminario di venerdì e varie cosette mi avevano fatto desistere.
Il romanzo che terminerò fra due, tre colpi di scena, un paio di inseguimenti, e la rivelazione finale, mi accorgo che ha un filo sottile che lo lega e lo renderà un giallo anomalo, strano: la nostalgia e le relazioni incompiute. Un filo che rischia di ingarbugliarsi quando non lo stendi bene e che può legarti i polsi o strozzarti. Un rischio che corre la mia protagonista, che vorrò far assomigliare a Dalida. 
Mi accorgo che in questo galleggiare tra i pensieri e la malinconia, stavo dimenticando forse l'elemento che ha innescato i miei pensieri vaganti, un ricordo archiviato bene, quasi nascosto: il quadro di Guttuso, una riproduzione appesa alla parete del salotto della nonna, un disegno semplice chiuso da una sottile cornice di plastica arancione. Dalida, a occhi chiusi, tratteggiata con poche, energiche linee sinuose che la rendono incredibilmente viva. Come adesso, che scrivo della mia protagonista e un po' di me stesso.

2 commenti:

  1. Dalida era una delle mie cantanti preferite quando ero giovane, mi affascinava la sua voce ed il suo carattere!

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    1. Ciao Andrea, è una delle mie preferite fin da bambino. Espressiva, sfuggente, talentuosa.

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