21/12/23

Un nuovo giorno - racconto -

Pago l’affitto in contanti ogni primo del mese all’agenzia immobiliare di Via delle Cave di Pietralata. Il locatore, una società di cui non ho mai conosciuto i rappresentanti, ha ammesso solo questa forma di pagamento. Oggi l’agenzia mi ha rifiutato i soldi. “Per te hanno già fatto”. Ho chiesto chi, perché. Mi hanno risposto che l’affitto è pagato per un anno intero.

11/11/23

Camminare nel mondo

È successo due volte in questo mese. Mi hanno fotografato e filmato senza che me ne rendessi conto. Che sensazione straniante vedermi così! Mi sono visto senza impalcature, intenzionalità, senza progetto o strategia. Nudo, vulnerabile, goffo. La prima volta a una presentazione di un libro, mentre mi facevo firmare la mia copia. Il ventre rilassato, le spalle curve, i capelli spettinati, i jeans scoloriti. La seconda volta in uno zoom registrato. Mi serviva un'informazione, sono andato a recuperarla. Ho capito che se dici solo un "ok", passi in primo piano. Non lo sapevo. La barba incolta, le occhiaie, le guance grosse e cadenti. Nessun sorriso di circostanza, né il gel per ammansire il ciuffo, solo la mia faccia perplessa e, dietro di me, il termosifone di ghisa con un mucchio di fogli sopra. "Ok" e sono lì, visibile a tutti nella mia veste peggiore e più vera, ignaro. Sono momenti in cui ti scopri come non vorresti mai. Diverso da come vorresti apparire. Straniero a te stesso. Momenti persino utili, fotogrammi che ti suggeriscono dove dover ritornare, dove poter trovare ciò che hai perso per strada. Mi sono visto come può vedermi uno sconosciuto. Nemmeno lo specchio è così realistico. Perché tu sai che quello che hai di fronte è uno specchio, fai una boccaccia e sai che comparirà di là, ti eserciti a far sorrisi e sai che quello sei tu che vuoi far sorrisi. Quando ti estraggono da un contesto senza che tu lo sappia, ti mettono a fuoco, senza che tu lo possa immaginare, ci sei tu nella tua naturalezza più o meno smagliante, nella tua luce o nel tuo buio, coi tuoi pesi sulle spalle che ormai fai fatica a sentire, con la pancia che risucchi sempre, tranne quando non hai bisogno di farlo, e invece dovresti, perché ci sono sempre occhi che ti guardano, se cammini nel mondo.

08/09/23

Periodo

È un periodo bastardo. Figlio di aspettative scintillanti e di una quotidianità ripetitiva.

Non ho più la testa di vent'anni fa. Vedo morire la gente. Normale: si vive e si muore. Morirò anch'io. Ma non sono pronto, ancora. Si è mai pronti a morire se non si è sperimentata la vita tuffandocisi dentro? A occhi chiusi, fiduciosi, eccitati?

Il corpo non risponde come prima. "Lei non è ammalato, ma deve essere pronto ad accettare questi acciacchi, è l'età". Non mi rassegno all'avanzare dell'età.

Mia figlia, quella di quattro anni, mi scaraventa, ogni giorno, nella vita. Ieri mi saltava addosso, mi usava come materasso, rideva, io l'ho guardata, meraviglioso concentrato di vita, l'ho stretta a me, l'ho ringraziata per darmi quest'appiglio splendente alla vita.

"Sei il mio papà preferito" mi ha detto. Le ho creduto.

La malinconia è una felice tristezza, diceva qualcuno.

Scendo a patti, più di quanto voglia, con questa tristezza. Ultimamente, non mi suggerisce frasi, capitoli, idee. Se non queste parole che butto qui, come un messaggio in bottiglia.

06/01/23

Fast food

 Ho portato a lavare la macchina. Ho un’ora scarsa da passare nei dintorni. Fa molto freddo. Il posto più accogliente in questo stradone commerciale è il McDonald’s. Entro. Ho voglia di patatine; ne prendo una porzione media. La sala è quasi vuota. Mi siedo e provo la stessa emozione di sempre, quando mangio al Mc: una tristezza che forse è malinconia o nostalgia per ciò che ho perso, annebbiamento dei pensieri, ma anche anestesia. Mi succedeva anche quando vivevo a Roma. Tra il Mc di Re di Roma e quello della Tuscolana, preferivo quest’ultimo. Più sobrio, più mesto. Ci andavo spesso, e mi calavo anche lì in quella dimensione catatonica in cui annegavo le preoccupazioni, le ambizioni, i dubbi, le domande. Anche adesso, in quest’angolino anonimo e standardizzato, che mi induce a una visione più netta di ciò che si ha dentro, mi sento triste. C’è un ventenne magrissimo di fronte a me. Ha un ciuffo biondo, indossa una tuta di acetato blu, ha un piercing al naso, smanetta sullo smartphone e sorride. Addenta un panino, mangia indolente delle patatine, beve una coca. Così uguale ai suoi coetanei. Riceve una telefonata, si rabbuia. Dice “no”, “non voglio”, “vaffanculo, non voglio” e chiude la comunicazione. Si concentra sul panino. Per un attimo mi guarda. Ha occhi chiari, tristi, forse ha riconosciuto la mia tristezza. Tra tristi ci si riconosce. Potrebbe essere mio figlio. Gli chiederei “ragazzo, cosa ti turba? Con chi ce l’hai? Perché sei solo?”. Viene da una palestra. Ha un borsone con la scritta di una polisportiva. Fa una chiamata. “Da lui non ci vado, hai capito?”. E chiude. Mangia le ultime patatine. Smanetta ancora sullo smartphone e sospira. In sottofondo c’è True blue di Madonna. Lui non era nato. Io avevo vent’anni. Perché sei triste, ragazzo? Mi risponderebbe: “cosa vuole da me?”, “che cazzo vuoi, stronzo!” oppure “ho bisogno di piangere”. Gli direi “piangi pure ragazzo mio, mica è un disonore”; lui mi direbbe “mi vergogno”, gli risponderei “piangere fa bene, te lo dice uno che non piangeva mai e ingoiava litri di dolore”. “Non voglio stare con mio padre. Lo odio”. “Perché?” gli chiederei. Mi risponderebbe: “Perché mi ha abbandonato da piccolo e ho dovuto sopravvivere a quest’assenza”. Ragazzo, ti direi di farti aiutare, di non vivere la tua tristezza in solitudine, perché hai diritto alla felicità. Ti convincerei a chiamare un amico. Ognuno ha diritto alla felicità. Si alza, svuota il vassoio, si infila il berretto di lana. Si volta a guardarmi un nanosecondo. Tira su il suo borsone ed esce. Si accende una sigaretta e va via avvolto dal fumo bianco della sigaretta e del gelo. Ci sono troppi figli soli e pochi padri.

08/12/22

L'otto mattina


È la prima giornata di sole di dicembre. Che giorno è oggi? L’otto. Fuori è festivo. Sono le undici. Il sole è quasi fastidioso; abbasso la serranda a metà. Prendo la gabbietta. Stacco i ganci, tolgo il foglio di giornale costellato di cacche. È la pagina dei necrologi. Elsa: si è spenta serenamente a 96 anni. Maurizio non è più tra noi, anni 36. Giordana ha concluso il suo viaggio terreno, anni 76, si ringrazia il reparto di Ematologia. Maurizio, anni 36. Che bella faccia che avevi. Più tardi ti cerco sui social. Voglio scoprire chi fossi, perché sei morto. Avevo 36 anni anch’io quattro anni fa. Avevi una vita che valeva la pena di essere vissuta? Una vita che vive, Maurizio? Tolgo la mela fradicia, pulisco le pareti della gabbia con una pezza intrisa d’acqua. Ciccino saltella contento e pigola. Tolgo la prima mangiatoia. Soffio sui tegumenti che volano e sporcano il lavandino. Metto i semi nuovi. Ciccino, non avere fretta, scostati! Mi mordicchia un dito. Va sull’altalena. Riempio l’altra mangiatoia di pastone. Fa un buon profumo, sembra biscotto plasmon. Rimetto la gabbia nella sua base. Ciccino mangia i semi, poi un pezzetto di mela. Riposiziono i ganci. Metto la gabbia sul davanzale. Riapro la serranda. Ciccino cinguetta, poi si libera nel suo canto, dondolandosi sull’altalena. Metto su la moka. Google. Maurizio anni 36 morto Verona. Facebook. Ingegnere informatico, due bimbi di tre e sei anni, Carla, la moglie, occhi grandi e chiari, la gita a Monaco, il matrimonio, invitati, riso, rose bianche e gialle, un bacio, il mare coi bimbi piccoli. Il bello di vivere da soli è che puoi piangere quando e quanto cazzo di pare. Ciccino fa il bagnetto nella vaschetta pulita. Arruffa le piume, le gocce mi arrivano in faccia, si mescolano con le lacrime.